L’irresistibile universo curvo della vertigine

E’ inconciliabile l’esperienza della linea con quella della curva? Un piede che succede all’altro è l’essenza del nostro passo e nella nostra mente lo guida un pensiero automatico di sequenzialità. Non ti puoi sbagliare, anche se non c’è un segno per terra, l’avanzamento fa parte del corredo genetico di noi mammiferi senzienti.

La curva invece è tutta artificio, non fa parte della biologia che, cieca, ci conduce dall’infanzia all’anzianità. Non bisogna confonderla con la ciclicità, di cui le donne sono palesemente le passive esecutrici (ma io credo follemente nell’esistenza anche di un ciclo maschile, ne rimasi colpita dalle tracce che trovai nel libro di Barbara Duden “Il corpo della donna come luogo pubblico”), parlo di traiettorie io.

E’ la vertigine. Improvvisa. Ti coglie con i suoi spasmi nauseabondi nel tuo solito ambiente, magari nel mezzo della notte, come è successo a me e tu non sei più che un naufrago tra onde immaginarie.

Il pensiero resta lineare ma nella vertigine il corpo curva, si incastra nell’illusione psicologica di una realtà spiraliforme. Tu guardi le cose e in effetti hanno ancora i loro begli spigoli, gli armadi, le piastrelle, il soffitto, la libreria, ma nella vista e nel pensiero le pieghi usando una volontà che non si arrende più alla loro oggettiva esistenza rettilinea. Non ti capaciti che sia questa ora la tua realtà e la cosa più ardua è spiegare al tuo corpo che non può più fare certi movimenti senza che sia successo niente di traumatico.

La mia adorata coinquilina, quando mi ha raggiunta diverse ore dopo l’inizio della tempesta, ha fatto giustamente un gesto istintivo mentre le spiegavo con collo fisso incastonato tra due cuscini laterali la situazione, ovvero mi ha messo una mano sulla fronte. La capisco e l’avrei fatto anch’io, cercare una causa di tanta sofferenza nel sintomo noto che possiamo ricondurre alle cure pret-a-porter cui siamo abituate. La mia temperatura era normale anzi freschina, non avevo dolori neanche al collo, se non le terribili invasioni simili a coltellate della nausea nello stomaco.

Il pensiero va a ieri, quando il corpo era libero di muoversi come voleva, padrone dello spazio, leggiadro o no, comunque dominante. Invece oggi i vicoli dei sentieri nella casa sono piene di divieti, addirittura nel letto non c’è che una postura davvero confortante. La riduzione delle possibilità di movimento domina la mia giornata. Eppure avanza un l’istinto di adattarsi e piano piano mi apro dei varchi, trovo delle zone, inesplorate per 40 anni, o almeno date per scontate. Fino a che non arriva la farmacopea. Qualche giravolta rimane residua per esempio quando azzardo gesti estremi tipo piegare il capo in modo da tendere l’orecchio verso la spalla. Lì vengo punita, ancora, ma è chiaro che prima o poi la linearità vedrà nuovamente il suo trionfo sul mio perfetto universo curvo durato un giorno.